IL GIUDICE DI PACE Ha emesso la seguente ordinanza fuori udienza nella causa civile n. 361/03 promossa da: Cherchi Antonio, residente in Alghero, rappresentato e difeso dagli avv. Antonio Mameli e Patrizia Cacciotto e presso questi ultimi domiciliato nello studio in Alghero via Vittorio Veneto n. 13, opponente; Contro Prefetto di Sassari, in persona del titolare pro-tempore della carica, amministrazione opposta. F a t t o Con ricorso depositato nella cancelleria dell'intestato ufficio in data 6 ottobre 2003, Cherchi Antonio proponeva opposizione avverso il verbale di contestazione n. 3798220 emesso in data 7 agosto 2003 dai Carabinieri della stazione di Villanova Monteleone rappresentando che: in data 30 maggio 2003 il ricorrente veniva fermato, alla guida della autovettura Nissan Micra tg. BR453ZJ di proprieta' di Delrio Giuseppina da una pattuglia di Carabinieri della stazione di Villanova Monteleone; nell'occasione, dagli accertamenti fatti dai verbalizzanti, il Cherchi risultava sprovvisto del documento di abilitazione alla guida per cui veniva redatto il verbale n. 3798902 con il quale veniva comminata una sanzione di Euro 33,60 con l'intimazione di portare in visione la patente entro 20 giorni ad un qualunque ufficio di Polizia; il Cherchi, non avendo reperito la patente proponeva immediatamente denuncia di smarrimento ottenendo un permesso provvisorio di guida solo in data 4 settembre 2003; nelle more il 7 agosto 2003, gli veniva notificato altro verbale di contravvenzione e precisamente il n. 3798220 nel presupposto di un comportamento omissivo in relazione all'intimazione di portare in visione il documento di abilitazione alla guida, per cui gli veniva irrogata la sanzione di Euro 348,51. Concludeva chiedendo l'annullamento dei sopra calendati verbali e non provvedeva ad effettuare il previsto versamento della somma pari alla meta' del massimo edittale, in quanto incidentalmente sollevava la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 204-bis del d.l. 30 aprile 2002 C.d.S., n. 285 introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214 di conversione in legge del d.l. 27 giugno 2003, n. 151 per contrasto con gli artt. 2, 3, e 24 della Costituzione della Repubblica italiana nella parte in cui prevede, a pena di inammissibilita' del ricorso, il deposito da parte del ricorrente di una somma pari alla meta' del massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore. Nel caso che ci occupa il collegamento giuridico tra la «res judicanda» e la norma ritenuta incostituzionale appare del tutto evidente e rilevante; infatti, ove si ritenesse l'art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 conforme a Costituzione, il ricorso andrebbe dichiarato inammissibile mentre ove, per contro, si ritenesse il predetto disposto in contrasto con la Costituzione la suddetta opposizione dovra' essere dichiarata nel merito. Sulla non manifesta infondatezza Violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione. Per ritenere l'art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 conforme a Costituzione occorrerebbe affermare che la diversa posizione che il legislatore ha riservato a cittadino e pubblica Amministrazione, oltre che a cittadino abbiente e cittadino non abbiente, non violi alcun precetto costituzionale. Tale assunto, tuttavia, non appare condivisibile in quanto la normativa in parola lede il diritto fondamentale dell'individuo espressamente tutelato dall'art. 3 della Costituzione della Repubblica italiana, ponendo i soggetti abbienti e non abbienti su un piano di disuguaglianza fra loro permettendo esclusivamente al soggetto che sia in possesso di una somma di denaro addirittura doppia rispetto a quella che gli consentirebbe di definire la pendenza mediante pagamento in misura ridotta, di poter tutelare i propri diritti proponendo ricorso al giudice di pace. Ne' e' sostenibile la tesi che al soggetto non abbiente sarebbe comunque possibile presentare ricorso al Prefetto in quanto tale procedura non prevede il versamento di alcuna cauzione, sia in quanto a maggior ragione cio' evidenzierebbe come il ricorso al giudice di pace si trasformerebbe in un mezzo di tutela riservato esclusivamente a soggetti facoltosi, sia in quanto la scelta della sede ove tutelare i propri diritti distinguerebbe o meglio discriminerebbe i cittadini sul piano economico e sociale limitando di fatto la liberta' e l'uguaglianza degli stessi. Del tutto evidente, alla luce di quanto sopra, come il disposto che si ritiene incostituzionale si presti a tale censura in quanto l'art. 3 della Costituzione della Repubblica italiana prevede che compito della Repubblica e' rimuovere, non gia' creare, ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la liberta' e l'uguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno sviluppo della persona umana. Peraltro, il disposto della cui costituzionalita' si dubita lede altresi' l'art. 2 Cost. che sancisce il valore assolto della persona umana, frustrando uno dei diritti fondamentali dell'individuo. Violazione dell'art. 24 della Costituzione. L'ingiustificato ostacolo imposto per la tutela dei diritti del cittadino nella sola sede giurisdizionale contrasta con l'art. 24 Cost. il quale espressamente prevede che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi ed aggiungere che la difesa e' un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. La sola lettura della norma costituzionale fa apparire palese il netto contrasto di quest'ultima con l'art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003, n. 214 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151. Infatti, l'imposizione del versamento della cauzione previsto per la tutela dei diritti del ricorrente nella sola sede giurisdizionale oltre a rappresentare un ingiustificato, ed ingiusto vantaggio per l'Autorita' opposta che, a differenza dell'opponente, in caso di vittoria ha immediatamente a propria disposizione quanto eventualmente dovuto, non assicura la possibilita' di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi a coloro i quali non dispongono di una sufficiente agiatezza economica, in tal modo ledendo gravemente il diritto di difesa. Peraltro, e' indubbio che l'art. 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003 n. 214 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 nell'indurre il ricorrente, di fatto, a desistere dal tutelare i propri diritti in sede giurisdizionale, scoraggia l'unico mezzo di tutela che quest'ultimo ha a propria disposizione soggetto al principio della soccombenza, costringendo o comunque inducendo i meno facoltosi a presentare ricorso al Prefetto per la tutela dei propri diritti, sede in cui in caso di accoglimento dell'opposizione il ricorrente non viene affatto rifuso non solo delle eventuali spese sostenute per l'assistenza di un professionista, ma neppure delle spese vive sostenute.